Gli atti dimostrativi e le proteste non si sono mai interrotti, e oggi sono tornati ad avere come teatro la città di Settimo Torinese, dove tutto era iniziato.
Settimo, la mamma in lotta per il figlio si incatena davanti ai Servizi sociali
Nella mattinata di venerdì 28 novembre 2025, la settimese al centro della lunga e complessa vicenda giudiziaria legata all’affidamento del figlio minore si è incatenata all’ingresso degli uffici dei Servizi sociali in via Roma 3. Un gesto annunciato dalla stessa donna sui social, spiegando di voler «depositare un’istanza urgente per chiedere la revoca con la restituzione del bambino a casa e la reintegrazione della mamma».
La protesta è iniziata alle 10.30 e circa mezzora dopo sul posto sono arrivati gli agenti della polizia locale.
La donna ha portato avanti per ore la sua protesta e intorno alle 16 si trovava ancora lì. A monitorare la situazione i carabinieri di Settimo.

La scena si è consumata davanti al portone della struttura comunale, lo stesso luogo dove nel febbraio 2024 la donna era stata denunciata per imbrattamento dopo aver deturpato l’ingresso dei servizi dell’Unione Net per protesta. Allora, accompagnò l’azione con un video pubblicato su Facebook: «Voglio sapere dove si trova. È quattro anni che mi privano dell’amore», dichiarava, prima di essere portata in caserma dai carabinieri per le procedure di rito.
Da quel momento, la sua battaglia non si è mai fermata. Dieci giorni dopo quell’episodio, la settimese era tornata in centro città, questa volta davanti al Municipio, dove imbrattò la facciata di piazza della Libertà con vernice rossa, gridando in diretta social: «Mi hanno strappato mio figlio che ha bisogno di sua mamma». Anche in quell’occasione le accuse verso istituzioni e servizi sociali furono durissime. L’intervento delle forze dell’ordine portò alla temporanea chiusura dell’ingresso principale del Comune e a un nuovo fascicolo d’indagine per danneggiamento di patrimonio pubblico e atti persecutori.
La voce della donna era tornata sulle cronache anche mesi dopo: il 20 settembre 2024, alla stazione ferroviaria del Lingotto, venne fermata mentre cercava di affiggere due maxi cartelli rivolti al giudice del Tribunale dei Minori di Torino. Messaggi pieni di rabbia: «Ridatemi mio figlio», «Io vivo per mio figlio», «Per me sono cinque anni di tortura». Gli agenti della Polizia ferroviaria sequestrarono il materiale, mentre la circolazione dei treni fu interrotta dal dirigente di movimento «per motivi di sicurezza». L’episodio costò alla madre una contestazione per interruzione di pubblico servizio, con il rischio di una pena fino a un anno di reclusione e di una multa.
Negli ultimi mesi le manifestazioni hanno continuato a ripetersi, sempre con lo stesso obiettivo: denunciare quella che la donna definisce «una sottrazione ingiusta del figlio» da parte del sistema giudiziario e dei servizi sociali. Una storia che affonda le sue radici in oltre quattro anni di contenziosi, iniziati con le sentenze del Tribunale dei Minori del Piemonte e della Valle d’Aosta e confermati poi dalla Corte d’Appello, che avevano dichiarato lo stato di adottabilità del minore e il suo temporaneo inserimento in una comunità terapeutica.
Questa mattina, la madre ha rilanciato la sua battaglia dove tutto era cominciato: in piedi, catena da una parte attorcigliata al suo corpo e dall’altra agganciata al portone e uno striscione con appuntati una serie di testi e documenti relativi al caso su cui campeggia la scritta “Mio figlio me lo dovete restituire”.