"Donne ancora troppo spesso escluse dal lavoro e costrette a chiedere sussidi"
"Ci sono stati più bonus che premiano chi rimane a casa che interventi per ridurre il gender gap" spiega D’Onofrio, responsabile della Camera del Lavoro di Settimo

Quanto “pesa” l’essere donna in ambito lavorativo? La domanda non è per niente scontata, soprattutto oggi, 8 marzo, Giornata internazionale della donna. La Nuova Periferia di Settimo ne ha parlato con la responsabile della Camera del Lavoro di Settimo.
Donne e lavoro, luci e ombre
Anno 2024: ancora ci ritroviamo a raccontare le fatiche di una categoria chiamata a rivendicare quotidianamente una parità che dovrebbe invece essere assodata. Storie di lavoratrici costrette a scegliere tra il proprio posto di lavoro e la maternità, tra il conservare il proprio impiego oppure dedicarsi alla cura dei figli. Ma anche storie di riscatto, come quelle di chi riesce a ritagliarsi uno spazio in ambiti considerati prettamente maschili quali sport di contatto o il mondo agricolo, ma che rimangono un’eccezione anziché la regola.
I dati
Il mondo del lavoro resta uno degli ambiti in cui il divario tra uomo e donna è più visibile, come testimoniano i dati.
«Per quanto riguarda i settori manifatturiero e industriale – spiega Alfonsina D’Onofrio, responsabile della Camera del Lavoro di Settimo – gli occupati sono per la maggior parte uomini, cioè circa il 70%, a fronte di un 30%, e in alcuni casi anche meno, di donne. Discorso differente va fatto per il settore dei servizi alla persona come colf e badanti, per gli addetti alle mense scolastiche e ospedaliere, per gli impiegati nelle superfici di distribuzione, per le Oss nelle Rsa. In questo caso la percentuale si stravolge e abbiamo un 66% di occupate donne, a fronte di un 34% di occupati uomini. In ambo i casi si tratta, comunque, di dati parziali perché fotografano esclusivamente gli iscritti Cgil».
Nei settori, quindi, «Che per stereotipo sono considerati femminili, cioè quelli dedicati alla cura, è sintomatica una maggior presenza di lavoratrici donne» prosegue D’Onofrio. E nei medesimi ambiti i contratti di lavoro sono più precari «Con un largo uso del part-time che genera divario occupazionale e si traduce in divario salariale. Concretizzando quello che viene definito “gender gap”».
Se parliamo poi di terziario avanzato, quindi di servizi informatici e digitalizzazione, «A parità di mansione e di titolo di studi, gli stipendi degli uomini sono meglio pagati di quelli delle donne, che in alcuni casi si trovano addirittura a capo dei team».
La fotografia dell’occupazione femminile non sarebbe completa, poi, se non tenessimo in considerazione che «A presentare domanda per la disoccupazione, per misure di sostegno al reddito oppure per l’assegno di inclusione sono più donne che uomini – aggiunge la responsabile della Camera del lavoro di Settimo, sempre con riferimento ai dati a disposizione dell’ente locale –. Questo fa il paio con quanto illustrato prima: la donna viene spesso esclusa dal mondo del lavoro ed è tenuta a chiedere un’assistenza per sopravvivere».
Più bonus per chi rimane a lavoro che interventi che riducano il divario
Quale, a questo punto, la “ricetta” per raggiungere la parità? Il solo fatto di non aver ancora trovato una risposta a questa domanda la dice lunga sui progressi compiuti dai primi movimenti di emancipazione ad oggi. Ma se vale il detto perfer et obdura (“rimani dritto e persevera”), oltre un rinnovamento culturale occorrono anche «Politiche attive e congedi parentali». Misure dunque «Che prevedano un ruolo attivo del padre nella cura della prole, come nei Paesi nordici. Normativamente, tuttavia, per ora non abbiamo visto una concreta volontà di includere le donne nel mondo del lavoro. Anzi, interventi legislativi per far sì che il gender gap si riduca non ce ne sono stati. Piuttosto, sono stati promossi bonus e sgravi volti esclusivamente a “premiare” le donne che scelgono di rimanere a casa per avere ed allevare figli».