L’Ordine provinciale di Torino

Consulenti del Lavoro, un impegno al servizio della società

Dagli Stati Generali della categoria una presa di posizione responsabile per rispondere ai bisogni del Paese. Come nel caso delle dimissioni di massa dai luoghi di lavoro

Consulenti del Lavoro, un impegno al servizio della società
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E così si chiude un altro anno, anno che avrebbe dovuto segnare la fine della pandemia e il ritorno alla normalità agognata nei lunghi mesi dell’isolamento, ma che ci trova nuovamente a confrontarci con insidiose varianti del virus, alquanto limitative della libertà di movimento.

Mentre il dibattito si infiamma sulle terze dosi del vaccino, il super green pass e i colori delle regioni, l’inquieto cantiere del lavoro continua la sua attività con manovre sulla tassazione dei redditi, sulle pensioni, sugli ammortizzatori sociali, sul reddito di cittadinanza, sull’assegno unico per i figli, tutte novità con le quali i cittadini e i loro professionisti dovranno misurarsi nel nuovo anno, per cogliere con profitto le occasioni che si presenteranno.

Gli Stati Generali del Consulenti del Lavoro

Su questi temi si sono svolti a Roma fra il 25 e il 27 novembre gli Stati Generali del Consulenti del Lavoro, una tre giorni in cui si è resa la dimensione ed il valore di una categoria fortemente proiettata nel sociale e attenta al valore delle competenze, che detiene come obiettivo la volontà di essere efficace e efficiente ma soprattutto ha manifestato la capacità di mettersi al servizio della società, per intervenire sulle necessità e le priorità dell’agenda che, nel nostro paese, dovrà sviluppare il piano di ripresa e resilienza nell’imminente futuro.

Ed è dal confronto sulle idee che emerge il contributo della nostra professione al vivere civile: ogni giorno ci impegniamo a trasmettere con passione, onore, dignità, la consapevolezza di un ruolo sociale, invitando la componente politica a operare per dare concretezza alle parole e per far comprendere che il futuro si prepara attraverso le scelte del presente, e che, se non si risolvono i nodi strutturali della nostra società, sarà ben difficile mettere in sequenza le azioni ed arrivare alla definizione di tutti i progetti previsti dai progetti di rilancio del nostro paese.

Consulenti del Lavoro, un impegno al servizio della società

Difatti, scorrendo l’indice del piano messo a punto dal Governo, molti e ambiziosi sono gli obiettivi che dovranno essere raggiunti nel periodo 2021/2026, ma noi consulenti del lavoro che operiamo ogni giorno con concretezza, potremmo dichiararci già soddisfatti nel vedere realizzati appieno i progetti che riguardano l’inclusione e la coesione che, attraverso il potenziamento delle politiche attive del lavoro, la riqualificazione e la formazione, dovranno rilanciare e sostenere l’occupazione e la piena emancipazione economica e sociale delle fasce più fragili della popolazione, come le donne, i giovani e i disoccupati. E su questo progetto poniamo a servizio le nostre competenze, forti di un’esperienza che ogni giorno si misura con rigore e preparazione tecnica, con i bisogni di 1,8 milioni di aziende e degli 8 milioni di rapporti di lavoro da noi gestiti, perché le riforme non si fanno con le bacchette magiche, ma con l’impegno degli uomini e delle donne all’altezza delle sfide, che ci credono e che lavorano per portare a casa risultati.

In conclusione, l’augurio che ci sentiamo di trasferire ai lettori per il nuovo anno è che ciascuno possa essere messo in condizione di esprimere al meglio la propria libertà, perché il lavoro è libertà, e ciascuno deve poter scegliere di svolgere un lavoro che gli conferisca dignità, all’altezza delle proprie aspettative e inclinazioni personali, per proporsi al meglio nel ruolo che gli compete nella società.

Tu chiamale se vuoi dimissioni 

Nell’abituale lettura, forzatamente sbocconcellata per ragioni di tempo, dei quotidiani non prettamente di natura economica e pertanto non riconducibili alla professione, qualche settimana fa avevamo intercettato un intervento che ci aveva particolarmente incuriosito. 

Successivamente, la circostanza che il medesimo sfondo tematico sia stato ripetuto e ripreso da autorevoli commentatori, indipendentemente dall’orientamento politico di appartenenza, ci ha spinti a sollevare l’argomento. 

Dai dati raccolti ed aggregati dal Ministero del Lavoro pare infatti che siano in atto dimissioni di massa dai luoghi di lavoro: da cosa deriva questo scenario inaspettato? Dai numeri, innanzitutto, che notoriamente si possono interpretare ma non stravolgere del tutto, e che certificano come nel secondo trimestre dell’anno in corso, sono stati 485.000 i lavoratori che hanno dato volontariamente addio alla loro pregressa occupazione. 

In realtà, nello stesso periodo, le movimentazioni in uscita ammontano complessivamente a 2.500.000 ma includono anche i contratti scaduti e non rinnovati e, in misura minore, stante il vigente blocco peraltro contraddistinto da eccezioni, i licenziamenti.  

L’effetto pandemico sul mercato del lavoro

Resta tuttavia un dato che, in un mercato del lavoro storicamente ingessato come quello nostrano, sia meritevole d’una riflessione poiché, dopo anni in cui si è dibattuto delle ragioni per cui il nostro Paese non si assimilasse per esempio agli Stati Uniti, dimenticandone le differenze non solo normative ma anche culturali, sembra che l’effetto pandemico abbia innescato un meccanismo che non ha precedenti. 

Cosa s’intende per effetto pandemico? Il patimento subito che in termini anglosassoni viene definito “burn-out” ossia quella sindrome da stress, caratterizzata da esaurimento emotivo, irrequietezza, apatia, depersonalizzazione e senso di frustrazione, frequente soprattutto nelle professioni ad elevata implicazione relazionale ma chiaramente non solo in quelle, altrimenti non si giustificherebbero i numeri in esame.  

Le conseguenze del Covid-19, in particolare la ripresa dei contagi dopo l’illusoria estate del 2020 quando sembrava una battaglia ormai vinta, hanno condizionato pesantemente il rapporto tra le singole persone e la loro collocazione lavorativa al punto di porre le basi per progettare, ed in qualche caso concretizzare, il grande salto del cambio vita. 

I meno entusiasti fanno notare che potrebbe trattarsi di una concomitanza di altri fattori ossia dimissioni già programmate nella fase di fermo, dimissioni concordate e sovente incentivate con datori di lavoro non propensi, per superare il divieto, a procedere con un accordo sindacale collettivo, dimissioni indotte da un ricorso eccessivo all’ammortizzatore sociale da parte dell’azienda che sfocia in conseguenze penalizzanti dal punto di vista salariale.  

Le perplessità dei Consulenti del Lavoro

Sono però osservazioni che ci lasciano perplessi: in primo luogo, a seguito delle riforme introdotte con il “Jobs Act”, a partire dal 12 marzo 2016, le dimissioni volontarie e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono effettuate in modalità esclusivamente telematiche scongiurando, se mai ce ne fosse stato bisogno, di giovarsi degli effetti di temporanee pressioni indebite.

In secondo luogo, espresso con estrema franchezza, per esperienza diretta possiamo confermare che ben difficilmente un lavoratore si dimette se privo di una alternativa professionale almeno percorribile a breve, poiché significherebbe rinunciare alla Naspi, nei casi più favorevoli per la durata di 24 mesi a cui si affianca per analogo periodo la contribuzione figurativa utile ai fini pensionistici. 

Infatti, quale comprova, e proseguendo nel solco dell’assoluta schiettezza con il lettore, come non associare il continuo proliferare del superamento del limite dei giorni di assenza ingiustificata, considerata la meno biasimevole tra le infrazioni disciplinari dei vari C.C.N.L. che consentono di accedere comunque al trattamento di disoccupazione dal momento che la stessa compete al dipendente a fronte di tutti (sic!) i casi di perdita involontaria del posto di lavoro.  

Gli effetti della pandemia e le politiche attive del lavoro

Quindi torniamo a ripeterci: la risposta al fenomeno non può coincidere con l’intento di lasciare consolidati posti di lavoro solo per seguire prospettive di carriera e ricevere retribuzioni più elevate, situazione che sarebbe già di per sé positiva perché indice di economia in espansione. 

Crediamo che la pandemia abbia riscritto le priorità individuali e familiari, favorendo un cambio di mentalità motivazionale accompagnato da una maggior insofferenza a quanto tollerato in passato. Non a caso da studi mirati emerge che solo una percentuale minima della sfera subordinata si dichiara soddisfatta del proprio lavoro: le lamentazioni non sono riferite allo stipendio, ai benefit, alla gerarchia o alla stabilità del rapporto bensì al lavoro in sé stesso e delle modalità di svolgimento. 

E se questo mutamento di concezione ed approccio si rivelasse duraturo, ci sarebbe davvero da ripartire daccapo agendo su quella che da sempre è considerata l’araba fenice del mercato del lavoro, sempre evocata ma mai seriamente realizzata: una efficace azione improntata sulle politiche attive. 

Consulenti del Lavoro: chi sono

Il Consulente del Lavoro è una professione ordinistica che si occupa di amministrazione aziendale a 360°: dalla gestione delle risorse umane, alla pianificazione strategica dell'attività imprenditoriale, passando per la gestione di tutti gli adempimenti legati ai rapporti di lavoro ed alla fiscalità d’impresa. In linea con un mercato del lavoro moderno e flessibile, il Consulente del Lavoro negli ultimi anni ha conosciuto una grande espansione nell’esercizio delle sue funzioni, diventando un punto di riferimento indispensabile per le imprese e le persone nel dialogo con la pubblica amministrazione.

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A cura dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Torino
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