Nei giorni in cui si sta scrivendo una delle pagine più nere per la sanità piemontese (e settimese), stanno emergendo anche le storie di chi non ha denunciato. Testimonianze in parte fuori da quelle del fascicolo della Procura. Storie di dolore e di umanità mancata affidate ai nostri taccuini che riportiamo su queste colonne attraverso dei nomi di fantasia.
“Ricoverata all’ospedale di Settimo, mentre la lavavano si è rotta il coccige”
«Quando dall’ospedale di Torino hanno trasferito mia mamma in quello di Settimo, lì, sono iniziati i nostri guai». Incomincia così una delle testimonianze – dei veri e propri pugni nello stomaco raccolti in questi giorni dai parenti di ex pazienti dell’ospedale di Settimo. La prima voce è quella di una figlia, una donna residente nel canavese, che chiamiamo Maria. «All’epoca dei fatti, mia mamma aveva 94 anni, ma nonostante l’età è sempre stata autonoma e in casa non aveva neanche bisogno di avere assistenza – premette -. Quando è entrata all’ospedale di Settimo per fare la terapia del sollievo, i primi giorni mangiava normalmente. Ricordo ancora che mio figlio le aveva fatto assaggiare la lasagna. Poi, un giorno, mentre le infermiere la lavavano, si è rotta il coccige. A quel punto sono iniziati i problemi e i dolori forti. E da lì hanno iniziato a somministrarle dei sedativi. Praticamente, era come se fosse “addormentata”». Con una voce che non nasconde la profonda sofferenza, Maria racconta uno degli episodi che l’hanno più turbata. «Una volta l’hanno messa su una sedia a rotelle, con il telefonino in mano, a penzoloni. Ho ancora il video in cui si vede lei, mezza addormentata, che cerca di chiamarmi. Non riesco a riguardarlo – aggiunge -, ma ce l’ho». Video – insieme ad altro materiale fotografico – visionato dalla nostra redazione e che, però, per tutela della famiglia e soprattutto della dignità della paziente (deceduta lo scorso maggio), in accordo con Maria, abbiamo scelto di non pubblicare in alcun modo.
Il peggioramento repentino della condizione clinica della mamma ha spinto Maria a chiedere il trasferimento in un altro ospedale. «All’inizio i medici non volevano, ma poi ho insistito e sono riuscita a trasferirla. È arrivata al pronto soccorso che era incosciente e satura di sedativi, così come è stato scritto anche nel referto medico – sottolinea -. Sono riusciti a somministrarle un’altra terapia e la sera mia mamma si è risvegliata. Ma, intanto, era arrivata anche con un’infezione e hanno poi dovuto metterla in isolamento». La mamma di Maria è mancata lo scorso maggio, dopo un trasferimento in un’altra struttura fuori zona. Ma comunque i mesi trascorsi nel presidio sanitario settimese rappresentano per la donna una cicatrice indelebile. «Non mi stupisce affatto tutto quello che sto leggendo in questi giorni, perché ci sono passata – afferma -. Quella struttura, come altre, deve essere rivista. Mi pento solo di non aver denunciato».
Una testimonianza analoga arriva anche da un’altra cittadina. «Premetto che non ho prove certe ma c’è da dire che l’esperienza durata per quasi tre mesi non é stata piacevole – ci racconta una ragazza, che chiamiamo Sara – . Mia mamma era stata ricoverata per fare riabilitazione dopo un’operazione all’anca. Pur essendo malata oncologica, quando è arrivata era ancora forte e reattiva – scrive alla nostra redazione -. Però, ogni giorno che passava li era sempre meno attiva, trascorreva le giornate su una sedia a rotelle e molte volte faceva fatica a tenere gli occhi aperti. O anche solo a parlare con mio papà che cercava di state tutto il tempo possibile con lei». Sara racconta anche la situazione che si viveva in corsia. «Il personale era ridotto al minimo. Se stavano distribuendo i pasti, non c’era nessuno che cambiasse i pazienti che magari in quel momento ne avevano bisogno e quindi rimanevano sporchi fino al ritiro della mensa. Affidiamo i nostri cari nelle mani di chi dovrebbe avere prima di tutto umanità e non fare quel lavoro solo per lo stipendio. Ovviamente – puntualizza -, non parlo di tutti ma della maggior parte delle persone che lavorano in quel posto. Grazie per avermi ascoltata – conclude -. La mia testimonianza non farà la differenza, ma è sbagliato stare in silenzio».