Il caso di Carla Arrigoni, la donna di 76 anni morta poi il 21 maggio 2024 all’ospedale di Chivasso per un nuovo episodio di insufficienza renale acuta, potrebbe essere uno dei tanti casi di malasanità correlati all’ospedale di Settimo.
Lo racconta Claudio Martinelli su La Nuova Periferia del 18 novembre.
Il dubbio su quel rene lesionato
A scoprirlo è la Procura di Ivrea nell’ambito della maxi inchiesta sull’Asl To4.
Dalle intercettazioni, infatti, gli investigatori hanno ascoltato una telefonata fra il dottor Umberto Rosso, medico del reparto di Lungodegenza, e il primario del reparto, il dottor Riccardo Greco. Nella telefonata, il primo spiega, con toni preoccupati, di aver procurato una lesione al rene della donna durante una prescrizione terapeutica. I fatti si sono verificati nel marzo 2024.
Rosso e Greco fanno parte dei 24 indagati per l’altro filone della maxi inchiesta, con la Procura che per tutti i professionisti ha chiesto la misura interdittiva della sospensione dell’attività per un anno: a dicembre dovranno comparire a Ivrea per l’interrogatorio di garanzia.
Sono quindici gli episodi di maltrattamenti finiti sotto la lente della magistratura. Ma questo specifico caso, al momento, non risulta tra questi. Il pool della procuratrice Gabriella Viglione, con i pm Valentina Bossi e Alessandro Gallo, stanno effettuando ulteriori accertamenti. A partire dalla cartella clinica della donna, definita dai medici come «fragile», ovvero un paziente potenzialmente a rischio. Tant’è che Giuseppe Gulino, direttore sanitario di Saapa – la società che gestiva l’ospedale e ora in liquidazione – aveva precisato come l’insufficienza renale sarebbe scaturita da un processo infettivo. Insomma, il quadro è tutt’altro che chiaro.
Tanti episodi di presunti maltrattamenti
Dalle intercettazioni, sono davvero tanti gli episodi al centro dell’indagine della Procura. Come la donna classe 1948, con deterioramento severo cognitivo, tenuta a letto per molte ore al giorno con una fascia all’altezza dell’addome per poi metterla su una sedia a rotelle, sempre con una cintura/fascia contenitiva.
O come quella donna del 1937, trovata con i polsi scuri, segno inequivocabile delle tante ore passate legata al letto dalle mani a causa dei suoi problemi a deambulare a causa della frattura al bacino. Il tutto senza pressochè mai monitorarla.
E, ancora, la donna di Settimo del 1941, in degenza per un ematoma cranico, stato di confusione, dipendente in tutto e per tutto. Per lei il «trattamento» prevedeva polsiere, un farmaco calmante e, a volte, direttamente il sedativo. Il motivo? Suonava troppe volte il campanello di richiesta aiuto.
Tra gli altri, ricordiamo anche il caso di Giuseppe Turchetto, il pensionato di 100 anni, nonno dell’ex consigliere comunale Davide Turchetto, morto nel marzo 2024 dopo quindici giorni di ricovero in reparto. E dove, secondo l’indagine, avrebbe subito maltrattamenti a più riprese. Giuseppe entrò in ospedale con un quadro di demenza con cadute recidive. Per tutto il tempo, fino al giorno della morte, era stato legato con una fascia contenitiva all’addome e anche ai polsi. Ma anche in questo caso sarebbe mancato, a detta degli inquirenti, un adeguato monitoraggio.
«Se qualcuno ha sbagliato, è giusto che paghi», dichiarava una settimana fa Turchetto proprio al nostro settimanale La Nuova Periferia.