SETTIMO TORINESE

La lotta alla Tav arriva anche in Chiesa

I «Cattolici della Valle» ospiti della Santa Croce e degli ambientalisti

La lotta alla Tav arriva anche in Chiesa
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Un incontro per riflettere sugli effetti della linea ferroviaria Torino-Lione, partendo dall'enciclica sociale Laudato Si’ che mette al centro della scena la relazione tra crisi ambientale e quella dell'umanità. La presentazione del volume «Prendiamoci cura della casa comune- Laudato Si’ e progetto Tav Torino-Lione a confronto», il progetto del Gruppo Cattolici per la Vita della Valle, è stata infatti l'occasione per ragionare non solo sull’infrastruttura che interessa la Val di Susa ma anche su una situazione ambientale ed ecologica su cui urgono azioni concrete. Passare, insomma, dalle parole ai fatti per difendere alcune battaglie ambientali, come quelle che promuovono il consumo zero di suolo e il rispetto della natura.

La lotta alla Tav arriva anche in Chiesa

È questo l'auspicio e il messaggio che arriva nel corso dell'evento organizzato dal Gruppo Cattolici per la Vita della Valle, Movimento No Tav, Legambiente Settimo e Ambientalisti del Chivassese, a cui ha partecipato anche il parroco di Mezzi Po, Don Paolo Mignani. L'incontro si è tenuto venerdì sera presso la Confraternita di Santa Croce ed è partito proprio dal progetto del Gruppo Cattolici per la Vita della Valle, presentato da Paolo Anselmo ed Eugenio Cantore, e da un movimento nato all'interno dei No Tav che unisce preghiera, azione e riflessione. Un'analisi sfociata in un libro che Anselmo definisce «uno strumento per riflettere sui danni che può fare un'opera imposta.

I commenti

Un'opera, quella che attraversa la Val di Susa, da anni oggetto di scontri politici, ideologici, azioni talvolta violente e di resistenze. «La nostra resistenza – prosegue - è stata di 33 anni e in questi 33 anni sono passati 22 governi e siamo riusciti a resistere perché abbiamo fatto comunità». Ed è proprio lo spirito di comunità e il senso di responsabilità individuale a cui i relatori fanno appello nel corso della serata, per evitare che il pianeta possa soccombere sotto gli effetti di un vero e proprio disastro ambientale. «Dichiararsi contrari alla Torino-Lione è qualcosa che va oltre questo progetto e questa ferrovia – aggiunge Cantore -. Significa manifestare la propria contrarietà ad un intero sistema basato su un modello di sviluppo che si sta dimostrando fallimentare e mortifero. Si tratta del cosiddetto modello di sviluppo del consumismo che consuma letteralmente le risorse del pianeta, ma non solo, usura le menti delle persone e le costringe alla ricerca di bisogni mai soddisfatti, produce scarti, immondizia, rifiuti, e la natura non produce rifiuti». L'appello, dunque, è ad una battaglia non solo ambientale, ma soprattutto sociale. Perché la Torino-Lione è la punta di un iceberg che ha alla base un modello di vita da cambiare. Ed è quello che emerge anche dalle parole di Luigi Camedda, segretario di Rifondazione Comunista, e da quelle di Alfredo Passarino, segretario dello Spi Cgil, entrambi seduti in prima fila insieme a Gianpiero Ronchetti e Mauro Gualeni, rispettivamente presidente e direttore di Legambiente. È tempo di scendere in campo, come Rifondazione Comunista, e di «costruire qualcosa di nuovo – dice Camedda -, senza ideologie particolari, contro questo sistema che ci sta portando alla distruzione». Un dibattito – quello sulla Tav – che, in passato, ha toccato anche il nostro territorio , come racconta Passarino ricordando «le battaglie in Consiglio comunale», anche se, poi, alla fine, «è andata come è andata». «Parto da un principio: ribellarsi è umano. Ribellarsi a questa società è umano, anche perché la società italiana è molto disgregata», analizza Passarino, invitando tutti a recuperare una sorta di «umanesimo sociale». «Due settimane fa, abbiamo fatto una grande manifestazione sulle questioni della sanità, perché oggi curarsi è un lusso. La politica quello che sta facendo è privatizzare anche la sanità», rincara la dose il segretario, che guarda, a tutto tondo, ai giovani e al mondo precario del lavoro. Senza considerare i rischi ambientali. «Guardate quello che è successo in Emilia Romagna, ma non solo, questo potrebbe succedere anche a Settimo. Dobbiamo riprenderci il territorio, la vita e bisogna di nuovo tornare a parlare con il cuore, altrimenti non c'è socialità. Bisogna – conclude - rimettere insieme la gente».

L'intervento

È tempo di passare dalle parole ai fatti per Don Paolo Mignani, parroco della chiesa di Mezzi Po, che venerdì sera, durante l'incontro in Santa Croce, ha invocato una vera e propria chiamata alle azioni e al senso di responsabilità personale che deve tornare nel nostro vocabolario insieme a diritti e doveri. Non si risparmia Don Paolo, e non risparmia nessuno. Parte dalla Tav e dalla resistenza ultratrentennale del Movimento della Val di Susa che dimostra che «Davide può vincere Golia». Una resistenza che Don Paolo ammira e per cui chiede l'applauso del pubblico presente all'incontro. È l'immagine di quella resistenza che deve guidare la Rivoluzione invocata dal parroco, che non guarda solo alla linea ad alta velocità Torino-Lione ma all'intera crisi ambientale che sta colpendo il nostro paese e che è lo specchio di una crisi sociale ed economica, figlia anche della guerra. Ne parla a lungo Don Paolo, fin dal suo primo intervento, quello di apertura, in cui riprende le parole di Alex Zanotelli, alcune delle quali inserite nella prefazione del libro «Prendiamoci cura della casa comune», in cui si riflette anche sul ruolo della Repubblica. «Ma cosa ha a che fare la parata militare con la festa della Repubblica? Ha ragione Zanotelli – commenta Don Paolo - Una Repubblica basata sull'articolo 11 che ripudia la guerra, mentre, invece, siamo in guerra da tutte le parti. Una contraddizione totale». Da qui, il riferimento alla legge approvata dal Parlamento e dall'Unione Europea «a sostegno della produzione di munizioni, anche con i fondi del Pnrr». «I fondi dovevano servire per la scuola, per la sanità. Il Pd e la sinistra devono svoltare su questi temi, non se ne può più», rincara la dose il parroco che, tra i banchi della Santa Croce, nota l'assenza dei rappresentanti di quella sinistra che a Settimo guidano la città. «Stiamo ristrutturando l'industria europea verso il settore militare, siamo dentro un'economia di guerra. Il Governo è uno dei peggiori player della sicurezza. Vogliamo davvero andare verso il disastro totale? Non solo l'olocausto nucleare, ma anche le spese militari, le guerre stanno pesando sull'ecosistema. Il pianeta non sopporta più la presenza dell'homo sapiens, divenuto demens, demenziale», analizza Don Paolo, ponendo l'accento su fattori come l'industria della guerra e il cambiamento climatico che «provocheranno nuovi movimenti migratori a cui l'Europa risponde chiudendo i confini». «Questa è un'altra cosa grave», sentenzia. Grave come le cifre investite per le spese militari che Don Paolo cita, considerandole «follia». È un fiume in piena il parroco. Si lascia trascinare dal dibattito, si siede e ascolta con attenzione tutti gli interventi che si susseguono. Quelli del Gruppo Cattolici per la Vita della Valle, le testimonianze degli ambientalisti, i volti noti del panorama locale. Ascolta, memorizza, medita. Poi, prende nuovamente la parola con un altro affondo. Deciso, diretto, come spesso ci ha abituato anche nelle sue omelie. «Il problema – afferma - è il sistema che ci ha invaso tutti. Guardate che questa situazione dei consumi ce l'abbiamo dentro e il problema sarà cambiare la mentalità. A me fa problema il modo di vivere della gente. Per esempio, a me impressiona quando c'è un ponte e la gente scappa via. Questa è evasione dalla società, questo è scappare dal quotidiano». Un modo di vivere – e una mentalità - che fa riflettere Don Paolo. E poi, il tema della guerra e il comportamento della politica sul conflitto. «L'unico che protesta – riflette, ancora, Don Paolo - è Papa Francesco. Altri che alzano la voce? Non c'è nessuno. Io credo che la questione fondamentale è che è tempo di tornare a parlare di rivoluzione. Bisogna reinventare quello che è successo nel Sessantotto in un contesto diverso perché è tutto il sistema che è corrotto e ingiusto. La posta è in gioco enorme. Il sistema ci ha segnato nel Dna e bisogna avere il coraggio di dircelo». Serve una rivoluzione dunque, a partire da quello che possiamo fare «a casa nostra». «Ho vissuto la mia prima giovinezza con una parola, tutto era un dovere. Poi, incontrando il mondo operaio, ho scoperto che c'erano i diritti. Secondo me, è tempo di aggiungere la responsabilità. La Val Susa ci insegna che Davide può continuare a vincere Golia», è il messaggio di Don Paolo che arriva da quella Settimo che è «a metà strada». «Su questa linea c'è un macello, amici, e bisogna risvegliarsi. Non possiamo fermarci alle parole», ribadisce Don Paolo, volgendo lo sguardo proprio alla città della Torre e a quel territorio che rappresenta un primo terreno su cui lavorare, a dispetto di chi sostiene che «a Settimo va sempre tutto bene» e che «Settimo è il paradiso». «Io – commenta Don Paolo - non sono così d'accordo...».

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