Imprenditore si impicca per il debito da pagare: pena ridotta agli usurai
La Corte d’Appello di Torino ha condannato a 7 anni e 6 mesi un settimese di 49 anni
Si era tolto la vita impiccandosi nel suo capannone di Leini, distrutto dal non riuscire più a pagare quell’importante debito con un usuraio, che richiese 10mila euro con l’obbligo di restituirne ben 14.700.
Imprenditore si impicca per il debito da pagare
Ma prima di uccidersi era andato dai carabinieri, raccontando tutto e facendo i nomi dei suoi aguzzini.
Una vicenda che, dopo le attività investigative da parte dei carabinieri - coordinate dall’ex procuratore capo di Ivrea, Giuseppe Ferrando, e attualmente portate avanti dal sostituto procuratore Alessandro Gallo - aveva portato in carcere due persone: il settimese Davide Molino, 49 anni, e Vittorio Bellofatto, di 55 anni. In primo grado i due erano stati condannati rispettivamente a 8 anni e 4 mesi e a 3 anni e 4 mesi.
Ai due è stata ridotta la pena dalla Corte d’appello di Torino: a Molino di dieci mesi, passando così a 7 anni e 6 mesi; a Bellofatto di quattro mesi, passando così a 3 anni tondi.
La Corte d’Appello di Torino ha condannato a 7 anni e 6 mesi un settimese di 49 anni
Una sentenza che non viene accolta in modo positivo dal loro legale, l’avvocato Stefano Idem che, pur attendendo gli atti per capire nel dettaglio le motivazioni che hanno portato la Corte a esprimersi in questo modo, ha già preannunciato il ricorso in Cassazione poiché i suoi assistiti si dichiarano estranei ai fatti.
Solamente tre mesi fa, Molino era stato arrestato dai carabinieri della Tenenza di Settimo per un altro episodio di usura, ai danni di un 56enne operaio di Settimo, costretto a ridare indietro 6mila euro con un tasso di 3mila euro da ripagare entro un anno e mezzo dalla consegna. Soldi che aveva chiesto per un problema di salute che lo aveva portato a dover cambiare i turni aziendali con annessa riduzione dello stipendio.
Con il passare dei mesi, l’operaio si accorgeva di non poter essere in grado di saldare il debito. E Molino dagli insulti passa alle minacce vere e proprie. Fatti di messaggi, telefonate e persino «incontri a sorpresa»: «B**... oggi fatti trovare perché ti ammazzo come un cane». «Ti sparo in testa». «Adesso vengo sotto casa tua e ti sfascio la macchina». «Ti sto venendo a cercare per tutta Settimo a piedi, cerca subito di venire sotto casa mia, io sono il tuo padrone». Questi alcuni dei messaggi detti al telefono o scritti da Molino verso l’operaio sempre più disperato.
Una sera, poi, Molino va sotto casa dell’uomo, iniziando a tirare calci e pugni contro la porta d’ingresso della sua abitazione, per poi minacciarlo ulteriormente: «Ti conviene aprirmi. Oppure ti scanno».
L’uomo, impaurito, prova persino a chiedere aiuto a persone vicine alla malavita. E dopo essere stato speronato, mentre era in auto, dallo stesso Molino, l’operaio va dai carabinieri e denuncia tutto. Facendo vedere loro anche i messaggi che il 49enne gli aveva inviato mentre si trovava dai militari.
L'indagine
Di qui l’indagine da parte della Procura di Ivrea e dei pm Alessandro Gallo e Mattia Cravero che ha permesso di arrestare Molino (difeso dall’avvocato Stefano Idem) per estorsione. Nel frattempo, però, il 56enne operaio è morto l’anno scorso per una ischemia.
Le stesse indagini permisero alla Procura di Ivrea di scoprire come i soldi dell’usura venissero reinvestiti nell’acquisto di droga. Oltre ai due, in aula c’erano altri quindici imputati (difesi dagli avvocati Antonio Mencobello, Emanuele Zanalda e Silvana Fantini) che per carabinieri e Procura hanno a che fare con lo spaccio di droga e la ricettazione di auto nella zona di Settimo e delle cittadine limitrofe. In dodici si sono avvalsi del rito abbreviato, ottenendo lo sconto di un terzo della pena e passando così a condanne variabili fra un massimo di 4 anni e un minimo di due anni. Per tre di loro, invece, sarà tempo di un processo con rito ordinario, non avendo optato per il patteggiamento.