Per scaldarsi, la sera, oltre al piccolo giaciglio con un piumone e un cuscino preparato sui sedili, deve mettere in moto il furgone e accendere l’aria calda. Quando ha bisogno dei servizi igienici, invece, utilizza i bagni degli autogrill «in cui ci sono anche le docce per potersi lavare».
“Da quattro anni vivo in strada e adesso, dopo tante promesse chiedo una casa in cui andare”
Mentre per mangiare si arrangia nello spazio posteriore del veicolo, con un tavolino pieghevole e due sedie. Sono le condizioni in cui è costretto a vivere Domenico Minasi, settimese, 58 anni, che dal 2021, insieme al figlio trentenne, si ritrova senza una fissa dimora.
Noi de La Nuova Periferia lo abbiamo incontrato pochi minuti prima dell’incontro pubblico a Borgo Nuovo (servizio alle pagine 12 e 13), in un parcheggio di via Foglizzo, dove trova ospitalità in uno stallo che gli ha messo a disposizione un residente della zona. È lì che, dopo un periodo di ricovero in ospedale, Minasi ci racconta il calvario che vive da quattro anni. «Tutto è incominciato durante il Covid, in seguito ad un infarto. Dopo aver perso il lavoro e la casa, inizialmente mi hanno mandato al centro Fenoglio per circa sei mesi ma poi per poter rimanere mi hanno chiesto una quota mensile di 477 euro che non avevo a disposizione», ci racconta Domenico, spiegando che «così, per un periodo, sono stato accolto da un amico».
Domenico Minasi, settimese, ci mostra il furgone in cui abita da quando ha perso il lavoro
«Stiamo andando avanti in questo modo da quattro anni. Ogni tanto, riesco a trovare un appoggio momentaneo da persone che conosco ma poi sono costretto a vivere in strada. Inizialmente, insieme a mio figlio, usavamo la macchina ma abbiamo ricevuto il fermo amministrativo e ci è stata sequestrata – spiega -. Per fortuna è intervenuto mio cognato che mi ha regalato questo furgone e ora viviamo qui dentro». Ma le disavventure di Minasi sono proseguite nel tempo e al disagio abitativo si sono sommati altri seri problemi di salute. «Ho poi avuto anche un altro incidente che mi ha provocato una invalidità riconosciuta al 73%. E li è finita la mia vita, perché molti lavori non li posso più fare», racconta, ripercorrendo «gli impegni non mantenuti da parte del Comune». «Mi sento tradito da chi mi avrebbe dovuto aiutare – afferma -. Durante uno degli ultimi incontri in Comune, mi avevano detto che mi avrebbero assegnato uno degli alloggi del nuovo Dado, ma adesso dicono che non è vero». E non è la prima volta che Minasi sente di essere stato abbandonato dalle istituzioni e da iter burocratici che negli anni non lo hanno aiutato. «Un’altra volta mi era arrivata una mail in cui mi comunicavano che mi era stato assegnato un alloggio. Poi, mi hanno detto che avevano sbagliato indirizzo mail. Assurdo», si sfoga Domenico, che nella vita ha fatto i lavori più disparati. «Mi sono sempre dato da fare. Ho fatto il macellaio, il decoratore, il muratore, per 17 anni ho lavorato in autostrada. Per fortuna, devo ringraziare la Croce Rossa e la chiesa che una volta al mese mi passano il pasto, ma non posso andare avanti così. Mio figlio è in ospedale per una forte bronchite e non possiamo continuare a vivere in questo modo. Io chiedo solo un alloggio, perché se ho una casa in qualche modo mi arrangio con qualche lavoretto e l’affitto lo pago», è l’appello che dai nostri taccuini lancia Minasi nella speranza che, questa volta, qualcuno ascolti realmente il suo grido di disperazione. «Quello che mi colpisce è che ho trovato una grande solidarietà dalle persone che mi stanno intorno, tra cui amici e familiari, e non da chi mi dovrebbe realmente aiutare. Possibile – domanda – che le istituzioni non possano fare nulla? E perché alle promesse non seguono mai i fatti?».