"No al pasto da casa nelle scuole: in mensa si esprime un principio di uguaglianza"
Il caso dei vermi nel piatto ha riaperto la discussione ma la psicoterapeuta Patrizia Comedda non ha dubbi su quale sia la scelta giusta per i bambini
Il «caso-mensa», esploso in seguito al ritrovamento di larve in alcune porzioni di minestra, ha riaperto il dibattito – politico e non solo – rispetto al servizio di refezione e alla possibilità di ricorrere al pasto domestico, ossia al panino da casa.
"No al pasto da casa nelle scuole", parla la psicologa
Una richiesta avanzata da diverse famiglie ma «rigettata» dai dirigenti scolastici per motivi didattici e di sicurezza dei locali. Ma, diatribe politiche a parte, secondo gli esperti quale è il valore educativo e formativo del tempo mensa?
Ne abbiamo parlato con Patrizia Camedda, psicoterapeuta e psicologa scolastica in diversi istituti del territorio, dalle scuole primarie a quelle superiori, per un'utenza complessiva di oltre 2500 studenti.
«La mensa scolastica andrebbe considerata come un presidio importantissimo per un'educazione alla salute», afferma Camedda, sottolineando che la condivisione del pasto «favorisce lo sviluppo di abitudini igieniche e incoraggia una corretta alimentazione».
«I meccanismi di imitazione sono fondamentali nell'apprendimento dei bambini. Sin dalla prima infanzia – argomenta –, per il bambino mangiare assume anche una connotazione sociale ed educativa: offre la possibilità di sperimentare nuove sensazioni, affinare importanti abilità e permette di compiere stimolanti scoperte nell'interazione coi compagni. Il tempo mensa diviene un momento di relazione con figure adulte esterne al proprio nucleo familiare, in cui viene favorita la socializzazione tra pari. Inoltre, viene implementato lo sviluppo dell'autonomia e la gestione delle dinamiche di gruppo, consolidando il legame con i compagni e la fiducia negli educatori adulti. Diventa un'opportunità di poter sperimentare sapori nuovi, abitudini più sane relative alla scelta degli alimenti e anche su come stare a tavola».
Così la psicologa sottolinea il ruolo strategico della mensa, soprattutto in un momento storico in cui i disturbi alimentari sono in costante crescita. I dati forniti dal Ministero della Salute, infatti, rilevano un incremento di casi dal 2019 ad oggi, in particolare nella fascia 12-14 anni.
«Il nostro paese è alle prese con la gestione di grandi fragilità relative alla salute psicofisica dei minori, considerando la sedentarietà e le cattive abitudini alimentari. C'è una situazione di grande allerta sui più piccoli e l'assenza di una corretta alimentazione abbinata alla mancanza di un'attività sportiva in modo continuativo può causare fenomeni di isolamento in cui prospera il disagio psicologico. I numeri 2023 del Centro Nazionale prevenzione delle malattie e promozione della salute evidenziano che il 19% dei bambini nella fascia d'età 8-9 anni presentano una condizione di sovrappeso e l'obesità in questa fascia si attesta al 9,8%», spiega Camedda, definendo questi dati «molto preoccupanti». In questo contesto, la psicologa rimarca i motivi per cui il pasto domestico rischia di diventare fonte di discriminazione.
«Il tempo mensa rappresenta un principio di eguaglianza e anche di welfare, soprattutto in quartieri in cui c'è una povertà sottile – analizza -. La mensa è il luogo dove i bambini possono mangiare un pasto completo. Con il panino da casa, invece, cadrebbe il principio costituzionale della scuola uguale per tutti. Che segnale diamo? Si tratta di una sfiducia totale nelle istituzioni e si rischia di ricadere nell'individualismo».