Testimonianza

Giovane medico sanmaurese in Turchia per la maxi emergenza: "Ci ho lasciato testa e cuore"

"Non scorderò mai l’uomo che ci ha chiesto di amputargli il braccio anziché ingessarglielo, affinché potesse continuare a scavare alla ricerca dei propri figli"

Giovane medico sanmaurese in Turchia per la maxi emergenza: "Ci ho lasciato testa e cuore"
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Portare un po’ di sollievo lì dove la vita di milioni di persone è stata ridotta in polvere da scosse di magnitudo 7.8. Una missione cui il medico Alberto Racca, 35 anni, non ha esitato ad aderire, partendo al seguito del nucleo Maxiemergenze della Regione Piemonte.

Il terremoto, la distruzione e gli aiuti

Città di Antiochia, 15 chilometri dal confine con la Siria. Anche qui il 6 febbraio 2023 la terra trema radendo al suolo milioni di edifici e provocando circa 50 mila vittime. Un po’ di pace nell’inferno arriva però il 15 febbraio successivo, quando il sistema Maxiemergenze allestisce un ospedale da campo completo e autosufficiente in tutto.

È l’inizio di due missioni sanitarie da quindici giorni ciascuna, la prima partita appunto il 15 febbraio e la seconda il 4 marzo. Il sanmaurese Alberto Racca partecipa a quest'ultima insieme ad una settantina di colleghi, inseguendo una vocazione alla cura e all’aiuto coltivata sin da bambino.

"Città e regioni fantasma"

«Ho sempre voluto fare questo lavoro. Ho iniziato come volontario in Croce Verde Torino, distaccamento di San Mauro, dove adesso mi occupo di formazione. Poi, conclusi gli studi e avviato il percorso lavorativo al Maria Vittoria, dove mi occupo per lo più di rianimazione, pronto soccorso e trapianti, ho aderito anche all’unità chirurgica della struttura Maxiemergenze, che si attiva in caso di disastri e calamità».

La prima missione di Racca è proprio in Turchia, in uno scenario quasi apocalittico e di totale distruzione. «Antiochia e le zone limitrofe sono diventate Città e regioni fantasma, prive di edifici integri. Le persone che vi sono rimaste non hanno altro luogo in cui andare; altri sono sfollati nelle tendopoli allestite da Protezione Civile e organizzazioni internazionali. Se ne vedevano a distese».

"Mi sono occupato di tutto, laddove c'era bisogno"

Una realtà davvero difficile da interiorizzare, mitigata però dalla voglia di darsi da fare, di mettersi al servizio di chi ha perso tutto. «Mi sono occupato di anestesia, rianimazione, pronto soccorso e sala operatoria, gestendo una media di oltre 150 accessi giornalieri in pronto soccorso ed un complessivo di 5700 accessi traumatologici. In realtà, però, tutti eravamo intercambiabili e davamo una mano laddove ce n’era bisogno. Anche in sala parto e in cucina».

Trentadue i bambini venuti al mondo nella tenda-ospedale, nascite di cui il pool di medici volontari ha tenuto il conto su un cartellone, attaccando un fiocco rosa o azzurro ad ogni nuova vita. «Ogni nascita è stata un momento di sollievo e speranza per tutto il campo».

Difficile poi il ritorno alla "normalità"

La parte più delicata della missione, tuttavia, è stata il rientro a casa e l’impatto con l’agiatezza delle città occidentali. «E’ stata una sfida ed un forte stimolo mettersi in gioco in quel contesto, ricoprendo anche ruoli che non mi competono. Dal punto di vista emotivo, però, faccio ancora fatica a tornare alla normalità. Rimango spiazzato di fronte a case integre, alla gente che cammina spensierata, ai negozi aperti. Non scorderò mai l’uomo che ci ha chiesto di amputargli il braccio anziché ingessarglielo, affinché potesse continuare a scavare alla ricerca dei propri figli. Così come la gratitudine incondizionata del popolo turco e degli interpreti che ci hanno aiutato a interagire con i pazienti. Ripartirei subito: è stata un’esperienza in cui ho lasciato testa e cuore».

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