una grande perdita

L’addio a Biagio, se Settimo ha meno barriere il merito è anche delle sue battaglie

Aveva 73 anni e da 37 conviveva con la malattia, ma non si è mai dato per vinto

L’addio a Biagio, se  Settimo ha meno barriere il  merito è anche delle sue battaglie
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Ha lottato come un leone per difendere i diritti e le esigenze delle persone disabili e se oggi Settimo è una città con meno barriere architettoniche è anche grazie a lui.
Biagio Lecaselle aveva 73 anni, 37 dei quali trascorsi a convivere con una malattia che purtroppo lo ha «consumato» giorno dopo giorno, senza però togliergli mai la voglia di fare qualcosa affinché le persone con disabilità potessero avere una vita sempre più normale. Lo testimoniano i tanti articoli di giornale che raccontano il suo impegno anche con le istituzioni.
E’ mancato domenica 4 febbraio, il giorno successivo a San Biagio, suo onomastico e tre giorni dopo il suo compleanno, che è stato il primo febbraio.

L’addio a Biagio, se Settimo ha meno barriere il merito è anche delle sue battaglie

Biagio è sempre stato circondato dal grande affetto della sua famiglia, la moglie Filo ed i figli Marco e Davide. «Non mollare mai, questo è l’insegnamento che ci ha trasmesso», raccontano.
Biagio Lecaselle era originario di Melfi. «Dopo i primi anni di scuola in Basilicata, convinto dai fratelli più grandi, Alessandro, Pina, Michele, decise di trasferirsi a Torino in cerca di “fortuna”, per trovare quel lavoro che a Melfi non c’era, per crearsi quella vita che tanto sognavano e che come molti emigranti di quei tempi erano costretti costruirsi il loro futuro al Nord - raccontano i figli -. Qualche tempo per ambientarsi e cercare lavoro ed ecco che papà, viene assunto in un’azienda come operaio; si occupa di riparazione dei circuiti elettronici. Nel mentre passano gli anni e lui intorno ai ventitré anni, ormai uomo maturo, decide di conseguire la licenza media, e ironia della sorte, è proprio la scuola a fargli incontrare l’amore della vita: la mamma». Poi la notizia della malattia: «Una malattia che avrebbe al solo pensiero abbattuto chiunque, ma non nostro padre, che come un gladiatore si è armato di corazza, elmo e sciabola e ha iniziato a combattere nell’arena del male. Da quel giorno, da quel triste, drammatico giorno, inizia un’altra storia, un’altra vita, la vita e la storia di un uomo nuovo che si batte non solo per se, ma per tutti quelli che hanno una disabilità, si batte perché la nostra società sia migliore».

Ha sempre lottato per migliorare la realtà

Biagio ha fatto sentire la sua voce attraverso articoli, chiedendo incontri con l’Amministrazione, per spiegare le difficoltà che un disabile incontra in una Città. «Il Sindaco lo ascolta e si fa parte attiva per abbattere le prime barriere architettoniche in tutta la città; quello che oggi è un normale scivolo per disabili in un marciapiede, un tempo non era contemplato in nessuna opera pubblica. Percorreva il sottopassaggio di via Leinì in piena carreggiata tra le auto con la sua “auto”, la carrozzina. Alcuni anni dopo costruiscono su corso Piemonte un passaggio comodo, lo scivolo con le giuste pendenze idoneo anche alle carrozzine e oggi si può passare sul sottopasso senza problemi per i disabili, per le mamme con i passeggini e per tutti coloro che hanno problemi di deambulazione».

La toccante lettera dei figli

 

"Biagio Lecaselle, nato nel 1951 a Melfi, il giorno esatto non si conosce, perché nonno Raffaele, raccontava che andò a registrarlo qualche giorno dopo, probabilmente il 1° Febbraio. Biagio per i più, è uno dei tanti cittadini di Settimo, uno dei tanti padri di famiglia, uno dei tanti insomma: ma Biagio Lecaselle è nostro padre.
Un uomo abituato a lottare fin da piccolo, proveniente da una famiglia di contadini, abitavano in una piccola casa color granata, perché il rosso che piaceva a mio papà era terminato e forse costava troppo, costruita sul terreno dove poi qualche anno dopo sorgerà il famoso stabilimento FIAT di Melfi.
In quel periodo nel sud Italia e in quella terra in modo particolare c'era molta povertà, e si sa, dove le condizioni sociali sono più disagiate, l’unica gioia erano i figli, avere molti figli era una cosa assolutamente normale per l’epoca, dove le famiglie erano talmente numerose che le parentele non si contavano e spesso si mischiavano.
Dalla famiglia Lecaselle nacquero sette figli: Lorenzo, Alessandro, Antonietta (detta Pina), Michele, Pasquale, Lucia e Biagio (Biasìn) l’ultimo, il più giovane.
Dopo i primi anni di scuola in Basilicata, convinto dai fratelli più grandi, Alessandro, Pina, Michele, decisero di trasferirsi a Torino in cerca di “fortuna”, per trovare quel lavoro che a Melfi non c’era, per crearsi quella vita che tanto sognavano e che come molti emigranti di quei tempi erano costretti costruirsi il loro futuro al Nord, abbandonando la propria terra natia. Afflitto dal trauma di dover lasciare tutti e tutto,
dovevi affrontare un mondo dove era difficile farsi accettare per quello che eri, ossia un uomo che voleva lavorare, vivere dignitosamente, crearsi una famiglia, avere dei figli, essere una persona normale, perché comunque rimanevi un “Terrone” e si sa, che i meridionali, all’inizio non erano ben visti dai Piemontesi, un po' come gli immigrati di oggi, i famosi corsi e ricorsi storici.
Qualche tempo per ambientarsi e cercare lavoro ed ecco che papà, viene assunto in un’azienda come operaio; si occupa di riparazione dei circuiti elettronici. Nel mentre passano gli anni e lui intorno ai ventitré anni, ormai uomo maturo, decide di conseguire la licenza media, e ironia della sorte, è proprio la scuola a fargli incontrare l’amore della sua vita: mia mamma. Nel mentre un amico (Sabino) gli propone di lavorare in ospedale, ma mio padre non si sentiva pronto, la sola vista del sangue lo spaventa un po', ma con il suo coraggio e la predisposizione al fare per il prossimo, divenne infermiere. Nel mentre la vita scorre felice, nasco io, poi mio fratello, siamo una bella famiglia, forse troppo bella per essere vera, forse il destino, forse chissà che cosa… finché un giorno, un tremendo giorno, uno di quelli che pensi possano capitare solo agli altri e invece… è toccato a noi, una notizia di quelle che toglie il fiato, di quelle che in un attimo che ti fa passare dalla felicità allo sconforto più totale, una di quelle che ti fa capire che non siamo nulla, una di quelle… la malattia. Non una malattia qualsiasi, ma la Malattia delle malattie, quelle che ti consuma giorno per giorno, come una candela, che brucia lenta ma inesorabile, finché c’è la cera, poi… una malattia che avrebbe al solo pensiero abbattuto chiunque, ma non NOSTRO padre, che come un gladiatore si è armato di corazza, elmo e sciabola e ha iniziato a combattere nell’arena del male. Da quel giorno, da quel triste, drammatico giorno, inizia un’altra storia, un’altra vita, la vita e la storia di un uomo nuovo che si batte non solo per se, ma per tutti quelli che hanno una disabilità, si batte perché la nostra società sia
migliore e inizia a partecipare alla una grande organizzazione di un evento che attraverso lo sport, coinvolge disabili e non, che si svolge a inizi anni 90 a Settimo Torinese, per far capire che la disabilità è una normalità solo diversa, e per spiegarlo meglio si improvvisa scrittore, componendo tra le altre la poesia dal titolo "TUTTINSIEME che viene pubblicata sui giornali e letta alla omonima festa sul palco. Nostro Papà è forte, è un gladiatore e dopo i primi terribili anni di assestamento, di accettazione della disabilità, dove ha imparato a convivere con la malattia, ha deciso di dedicarsi agli altri e cosi iniziano gli impegni.
Prima si dedica al partito, poi alle riunioni della cooperativa Di Vittorio, dove abita ancora oggi mia mamma, sempre senza tralasciare la famiglia dove mi segue a scuola, diventando rappresentante di classe. Oramai la malattia avanza inesorabile, ma Biagio combatte senza arrendersi, è autonomo, non ha bisogno di nulla, non chiede mai nulla, lui vuole vincere vuole essere indipendente in tutto, vuole combattere fino alla fine. Ormai si muove solo in carrozzella che è diventata la sua amica quasi inseparabile e si rende conto che i marciapiedi senza le discese lo ostacolano, le barriere architettoniche sono il nuovo nemico. Inizia a pubblicare articoli su “Specchio dei Tempi” la famosa rubrica de “La Stampa”, diciamo una sorta di precursore degli attuali social, poi sul La Nuova (il giornale locale di Settimo, che oggi è diventata La Nuova Periferia), scrive al Sindaco e chiede di incontrarlo per spiegargli le difficoltà che un disabile incontra in una Città. Il Sindaco lo ascolta e si fa parte attiva per abbattere le prime barriere architettoniche in tutta la città; quello che oggi è un normale
scivolo per disabili in un marciapiede, un tempo non era contemplato in nessuna opera pubblica. Percorreva il sottopassaggio di via Leinì in piena careggiata tra le auto con la sua "auto”, la carrozzina.
Alcuni anni dopo costruiscono su corso Piemonte un passaggio comodo, lo scivolo con le giuste pendenze idoneo anche alle carrozzine e oggi si può passare sul sottopasso senza problemi per i disabili, per le mamme con i passeggini e per tutti coloro che hanno problemi di deambulazione.
La nostra società, la nostra Città sono indubbiamente migliorate, sia a livello culturale che infrastrutturale e forse questo merito va un po' anche a Biagio Lecaselle da Melfi, un uomo qualunque, uno dei tanti cittadini di Settimo, uno dei tanti padri di famiglia, uno dei tanti insomma, ma per noi Biagio Lecaselle è nostro padre il nostro gladiatore".
Ciao papà

Marco e Davide Lecaselle

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